Arte povera, un movimento artistico comparso in Europa intorno agli anni 60 del 1900 e che venne apprezzato per il suo desiderio di suscitare profonde emozioni. Ciò che permette a questa corrente di nascere e svilupparsi è proprio la critica e il rifiuto dell’arte tradizionale, abituata a sfruttare tecniche e materiali di uso più consueto.
L’arte povera vive tutto questo come un limite alla creatività e alla produzione artistica, dunque se ne allontana. Vedremo la definizione di arte povera più nei dettagli nei prossimi paragrafi, ma partiamo con il precisare che questo movimento artistico nasce nel 1967 proprio nello stivale d’Europa, in Italia.
Il primo a coniare e utilizzare il termine di arte povera fu il famoso storico dell’arte genovese Germano Celant, che dedicò gran parte della sua carriera a scrivere articoli per recensire e definire la natura di questo movimento emergente. Prima di Celant, però, il regista teatrale polacco Jerzy Marian Grotowski aveva già delineato il concetto di teatro povero.
In questo caso, l’obiettivo era quello di eliminare la sontuosità della messa in scena, per poi focalizzarsi sul lavoro dell’attore e sul suo legame con il pubblico.
Provando a riassumere il significato di questa corrente rivoluzionaria nel mondo dell’arte moderna, la nuova generazione di artisti italiani si distingue dal passato perchè decide di utilizzare materiali più umili, cioè poveri, nella realizzazione delle proprie opere.
In un periodo di grande crescita economica, dove il pubblico tende a diventare sempre più materialista, gli artisti poveri nutrono un forte rifiuto dell’industrializzazione. Invitano, allo stesso tempo, lo spettatore a riflettere sul rapporto tra i materiali, oltre che sul processo di creazione e sul ruolo dell’artista in sé.
Tra i materiali usati per la realizzazione delle opere ci sono, per esempio, sacchi di tela, terra e argilla. Iniziamo insieme la scoperta dell’arte povera!
Ma negli anni Sessanta accadde qualcosa che ci spinse ad essere più funzione che sostanza. Buttandoci in un angolo sbiadito dell’esistenza. Cosa eravamo rispetto a qualche anno prima? Niente inconscio, niente etica, niente rimorsi. Eravamo soli davanti a un mare di opportunità artificiali.
Germano Celant
Arte Povera origini
Nella seconda metà degli anni Sessanta del Novecento, gli autori torinesi aderiscono a un movimento artistico noto come Arte povera.
Definizione e significato di Arte Povera
La definizione di Arte Povera nasce nell’ambito della Arte Concettuale, un termine usato per indicare ogni tipo di espressione artistica secondo cui i concetti e le idee espresse debbano risultare più importanti del risultato estetico e percettivo dell’opera stessa. Il pensiero che sta dietro alla creazione deve prevalere sul processo di realizzazione stesso, in altre parole.
Questo presupposto è centrale per comprendere il significato di arte povera, che poggia su una base comune all’arte concettuale. Si parte, anche qui, dalla critica riferita al modo di fare arte. Le opere prodotte nel 1960, agli occhi dell’arte povera, sono autoreferenziali e prive di quella spontaneità che un lavoro artistico necessita.
Origine del movimento
Focalizzandosi sul significato di arte povera invece, è necessario analizzare l’opera di Jerzy Grotowski e il suo modo di fare teatro. Nel 1968 esce una raccolta di saggi intitolata “Per un teatro Povero”, simile a un manifesto delle tecniche teatrali ideate da Jerzy Grotowski.
Tutto questo ha davvero rivoluzionato il teatro. Grotowski, insieme al suo allievo Eugenio Barba, direttore e fondatore dell’Odin Teatret, può essere considerato uno dei padri del teatro contemporaneo. L’approccio alla recitazione cambia e si concentra sul rapporto tra attore e pubblico, senza allestimenti scenografici o effetti speciali.
Eliminando gradualmente tutto ciò che è superfluo, scopriamo che il teatro può esistere senza trucco, costumi e scenografie appositi, senza uno spazio scenico separato (il palcoscenico), senza gli effetti di luce e suono, etc.
Non può esistere senza la relazione con lo spettatore in una comunione percettiva, diretta. Questa è un’antica verità teoretica, ovviamente. Mette alla prova la nozione di teatro come sintesi di disparate discipline creative; la letteratura, la scultura, la pittura, l’architettura, l’illuminazione, la recitazione.
Jerzy Grotowski, Per un Teatro Povero
L’arte povera nasce dall’idea di artisti che possono essere meglio definiti come artigiani e scultori, proprio perchè desiderosi di esprimere un messaggio originale, usando un alfabeto composto di materiali poveri ed ormai in disuso. Celant si occupa poi di delineare la teoria e la fisionomia del movimento, con mostre e scritti come “Conceptual Art, Arte Povera, Land Art” del 1970.
In queste opere, afferma che quest’arte si manifesta “nel ridurre ai minimi termini, nell’impoverire i segni, per ridurli ai loro archetipi”. L’uso di materiali risale al loro stato più puro, creando un rapporto intimo con l’artista.
Arte povera dell’evento e del pensiero
Distaccandosi dalla tradizione, questa corrente nasce dall’idea di 13 artisti italiani che lavoravano nelle loro città usando mezzi differenti, ma elaborando temi apparentemente simili. In realtà, il movimento più ampio va suddiviso in due parti: arte povera legata all’evento e al pensiero.
Nelle opere legate all’evento, le esperienze artistiche possono essere definite come eventi limitati nel tempo, che quindi hanno un inizio e una fine. Per esempio, agli artisti si affidano a filmati o fotografie che hanno registrato un particolare evento storico, creando qualcosa di unico e irripetibile.
Lo scopo è quello di sottolineare quanto l’opera artistica sia inserita nella realtà, non trascendente dal contesto in cui nasce. Il significato che oggi possiamo attribuire a testimonianze della Seconda Guerra Mondiale è del tutto diverso dall’accezione nel 1960.
D’altra parte, l’arte povera legata al pensiero si concentra più sul messaggio intellettuale che sull’evento testimoniato. Lo scopo è quello di creare un legame tra spettatore e opera, proprio come accade nelle opere di Pistoletto. Spesso, nelle sue opere, le sagome sono rappresentate e fissate su uno specchio, nel quale lo spettatore può riflettersi. In questo modo, l’interazione intima supera qualsiasi evento o contesto di riferimento.
Proprio come suggerisce Celant, il movimento è molto più ampio e complesso di quanto possiamo immaginare. Si tratta di una vera e propria corrente di pensiero, che spinge l’uomo a superare i legami materiali e a ricercare qualcosa di più nella realtà.
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Mobili in arte povera: come sono?
Oltre alla pittura e alla scultura, l’arte povera riguarda e si sviluppa anche con l’arredamento d’interni. Per descrivere quali sono le caratteristiche dei mobili in arte povera, ci riferiamo a stile di arredo caratterizzato da mobili in legno massello, dalle linee essenziali, semplici e di solito lucidati in tonalità noce o rovere.
Anche in questo caso, torniamo alla definizione dell’artista come artigiano proprio perché desideroso di creare la propria “opera” con le sue mani. La fattura dei mobili non è industriale, l’imperfezione viene valorizzata proprio perché rende unico il complemento.
Mobili di questo tipo sono perfetti per arredare la casa in maniera calda, elegante e accogliente, come avviene nell’arredamento classico o nell’arredamento vintage. Nella maggior parte dei casi, in fase di acquisto, i mobili sono venduti già rifiniti e lucidati.
Esistono anche, però, diversi mobili in arte povera grezzi, che quindi si possono colorare e ritoccare con vernici e finiture di varie tonalità. In generale, i mobili di arte povera hanno tre denominatori comuni: l’uso del legno, spesso lucidato, linee semplici e definite, al limite con lo stile rustico, e massima funzionalità.
Ripercorrendo la storia e la nascita degli arredi di arte povera, possiamo tornare alla prima metà del Novecento. Lo scopo era rispondere alle esigenze di case di campagna abitati prevalentemente da contadini e allevatori. La corrente si occupava di ogni aspetto della realtà, dunque l’arredamento doveva essere pensato come pratico, funzionale e semplice.
La scelta ricadde sul legno poichè si trattava del materiale più facile da recuperare e sempre disponibile. Oltre alla finitura lucida, vengono usati soprattutto noce, ciliegio e castagno, lavorati in modo semplice ed escludendo particolari decori. La sensazione di confortevole viene conferita a primo impatto: cassetti frontali o ante laterali per sfruttare ogni spazio, sedute larghe e solide, armadi alti e spaziosi.
Arte povera: artisti
Tra le caratteristiche centrali dell’arte povera troviamo un lavoro focalizzato su due aspetti fondamentali: in primo luogo, i materiali sperimentali, e in secondo luogo, la manipolazione e la disposizione dei materiali. La materia allo stato grezzo è la più utilizzata: sfruttando una grande abilità creativa, è possibile riutilizzare e trasformare il materiale in arte.
Ogni opera, anche se caotica e di complessa comprensione, racconta qualcosa ed è in costante mutamento.
In entrambi i casi, tuttavia, l’effetto voluto sarà conseguibile solo tenendo conto del fatto che l’apprensione del quadro da parte di un ipotetico spettatore è appunto di tipo globale, e che unitamente agli aspetti più caotici o disordinati, la percezione dello spettatore tenderà spontaneamente a ricostruire un qualche ordine e a evidenziare la struttura interna della composizione.
Rudolf Arnheim
Gli artisti e gli esponenti che si distinsero nell’ampia corrente dell’arte povera sono moltissimi, noi parleremo di 4 tra i più importanti.
Mario Merz
Mario Merz fu un artista italiano di spicco, nato a Milano il 1° gennaio 1925 e conosciuto per la sua attiva partecipazione alla politica. Si tratta di uno degli esponenti di spicco dell’arte povera in Italia e all’esterno, con opere e installazioni che denunciano una società basata sul consumismo.
Grande accusa soprattutto nei confronti degli Stati a sviluppo industriale o dalla produzione capitalistica, che riducono la consapevolezza del pubblico. Durante la Seconda Guerra Mondiale entrò a far parte del gruppo antifascista Giustizia e Libertà e nel 1945 fu arrestato e imprigionato.
Dopo la Liberazione si dedicò a tempo pieno alla pittura, cominciando dall’olio su tela. A metà degli anni Sessanta, iniziò ad abbandonare la pittura per sperimentare materiali diversi. Le sue opere sottolineano un richiamo all’uso consapevole dei materiali organici, come in una delle sue creazioni più famose: gli igloo, ormai diventati il suo segno distintivo, sono realizzati di vari materiali come argilla, cera, legno e carbone.
Le forme e i materiali sono declinati diversamente a seconda della mostra e dell’esibizione. Forte anche il richiamo alla quotidianità e alla semplicità, sfruttando pile di giornali e frammenti di vetro. La scelta dell’igloo non è casuale: la tipica abitazione invernale degli Eschimesi rimanda a uno stadio primordiale della civiltà umana, in cui l’esistenza dell’uomo era a diretto contatto con la natura.
Michelangelo Pistoletto
Passiamo a Pistoletto, nato il 25 Giugno 1933 e originario della regione Piemonte. Una personalità geniale e rivoluzionaria, oltre che esponente di spicco dell’arte povera. Grazie al suo lavoro e ai suoi colleghi, è riuscito a riportare l’Italia al centro della scena artistica internazionale. L’inizio della sua carriera si deve ai primi anni della sua vita, quando nel 1947 inizia a lavorare con il padre, restauratore di quadri.
In seguito a questa esperienza, decide di frequentato la scuola pubblicitaria di Armando Testa e questo costituirà il fondamento della sua arte. Oltre alla cura al dettaglio, anche la capacità di trasmettere con una sola immagine un pensiero molto profondo. Non solo specchi, ma anche opere dissacranti come la Venere degli stracci, che avvicina un’icona dell’arte a un cumulo di indumenti logori.
Nella maggior parte delle sue opere, Pistoletto lavora con l’happening, cioè una manifestazione artistica multidisciplinare iniziata nel 1950. L’happening cerca la partecipazione spontanea del pubblico e dello spettatore, dando vita a un rapporto delle volte effimero, temporaneo.
Per fare questo, l’artista sceglie superfici riflettenti, come lastre di acciaio inox lucidate, nella composizione di molte delle sue opere. Le immagini fotografiche a dimensione reale sono riportate dalla carta velina su di una superficie riflettente, poi ripassate a pennello. In questo modo, lo spettatore che si riflette, entra pienamente a far parte della creazione artistica.
Pino Pascali
Pino Pascali nasce nel 1935 a Bari, dando vita a una carriera breve ma senza dubbio folgorante. Diplomato all’Accademia di Belle Arti di Roma nel 1959, ha subito iniziato a farsi notare come scenografo. Nel 1965 ha tenuto la sua prima personale, a Roma, nella prestigiosa galleria “La Tartaruga” e riesce, in soli tre anni, a imporsi all’attenzione dei maggior critici d’arte italiani.
Un artista sorprendente e rivoluzionario, capace di rompere ogni schema nel Marzo 1968, quando espone Cinque bachi da setola e un bozzolo a L’Attico di Fabio Sargentini a Roma. In un clima di totale sperimentazione, da questo momento in poi, questa galleria diverrà uno degli epicentri dell’avanguardia internazionale in quel torno di anni.
Grande l’utilizzo, nelle sue opere, di false sculture. Si tratta di una serie di tele con forme che creano l’illusione di essere sculture solide, in realtà realizzate come dipinti. Weapon è un’altra celebre serie dell’artista, dove le armi sono fedelmente riprodotte nei minimi dettagli.
Tuttavia, a differenza di una vera arma, le opere di Pascali non possono uccidere. Alcuni caratteri d’avanguardia possono paragonarsi alle peculiarità dell’arte contemporanea, come le sue opera esposte in Fondazione Prada a Milano.
Jannis Kounellis
Jannis Kounellis costituisce uno dei maggiori esponenti dell’arte povera, nato a Pireo, in Grecia, il 23 marzo 1936. Alla base delle sue opere e installazioni, troviamo una riflessione sulla situazione umana che si trova spesso a subire il peso del destino e a non trovare la forza per reagire. Nel 1956 venne respinto dalla scuola di Belle Arti di Atene e decise di trasferirsi in Italia per iscriversi all’Accademia di Belle Arti di Roma.
Dopo i primi anni di sperimentazione, da 1967 Kounellis coltiva il desiderio di superare l’uniformità della pittura della sua prima produzione e sceglie di inglobare elementi concreti e naturali come terra, lana, cotone e fuoco. Il dialogo con l’arte assume una forma ben precisa, fatta di sensorialità intima e profonda.
Grazie al contrasto e alla trasformazione costante, le creazioni di questo artista diventano davvero arte dell’uomo per l’uomo, oltre che espressione della sua storia che contrasta la distruzione e l’oblio.
Arte povera: opere
Le opere di arte povera possono assumere forme e caratteristiche molto diverse, a seconda della corrente e a seconda dell’artista. Come abbiamo già sottolineato, l’arte povera nasce dalla necessità di superare e oltrepassare i limiti imposti dall’arte tradizionale.
Questo, da un punto di vista più pratico, si traduce nell’assenza di linee guida marcate e definite nel processo creativo dell’opera. Ognuno è libero di esprimere a suo modo il messaggio prescelto, scegliendo materiali semplici e cercando di creare un legame intimo con l’installazione.
Fabro e Anselmo
Oltre alle creazioni degli artisti già citati, proviamo anche ad approfondire altre opere che hanno contribuito alla diffusione dell’arte povera nel mondo. Partiamo da Luciano Fabro, un artista già noto prima dell’ingresso nel movimento e associato a personalità come Fontana e Manzoni, due importanti precursori dell’arte povera.
La doppia faccia del cielo (1986, in foto) è una delle sue opere più apprezzate, con un blocco piatto e ovale di marmo brasiliano, appeso in una rete d’acciaio tra due abeti di Douglas. Un lato del marmo è lucidato e di un azzurro radioso, metafora del cielo sereno, mentre l’altro è lasciato grezzo, grigio e sbozzato.
Tra le peculiarità di questo artista, ritroviamo anche il desiderio di utilizzare materiali che trasmettono ricchezza ed eccitano la fantasia, come nel caso del marmo o della seta. Giocando con l’immagine e il suo significato, qui Fabro trasforma un pezzo di marmo molto pesante in un pezzo di cielo senza peso, con un lato soleggiato e uno nuvoloso.
Anche Giovanni Anselmo è un esponente di spicco, che ha esordito nell’ambito dell’Arte povera e si è impegnato in una ricerca per esaltare la presenza dell’invisibile nel visibile. Senza titolo (struttura che mangia) del 1968 è una delle opere più famose di Giovanni Anselmo. Si compone di un parallelepipedo di granito al quale è agganciato un altro blocco ben più piccolo stretto al primo da un anello di rame.
Tra il pilastro e blocco si trova, pressato, un cespo di lattuga verde. Con il passare dei giorni, la lattuga appassisce e bisogna sostituirla, altrimenti il parallelepipedo cadrebbe. La materia inerme, la pietra, viene messa in relazione con la materia organica, in un legame indissolubile tra uomo e ambiente. Dobbiamo prenderci cura della natura, che ci offre sempre nuove opportunità.
Una risposta
ch——– …… Arte è l’Artista OPERA D’ARTE è i l ..suo prodotto senza prodotto non esiste Arte.